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Trento, venerdì 8 marzo 2013
"I VANZAROTTI DELLA MAMMA"
8 marzo 2013 - festa della donna

di Lucia Coppola
dal Trentino di sabato 9 marzo 2013

Mi è sempre piaciuto soffermarmi a scuola sul significato della “Festa della donna”, l’Otto Marzo, perché ho avvertito spesso nelle classi l’esigenza di sensibilizzare i bambini al rispetto di genere, ad atteggiamenti di reciproco riconoscimento, pur nella diversità che, fortunatamente, ci caratterizza.

Abbiamo spesso riflettuto sulla scarsa considerazione di cui gode il lavoro delle mamme, fuori e dentro la famiglia, che non si deve dare mai per scontato. Al contributo che tutti, maschi e femmine, bambini e bambine, dovremmo dare perché le cose funzionino al meglio. E’ importante riflettere insieme sul lavoro domestico e di cura, perché non sia solo appannaggio delle donne. Ricordo un alunno, in un piccolo paese del Trentino, che descrisse così sua madre: “La mia mamma non è né lunga né corta, si aggira intorno al metro e sessanta. Quando noi siamo a tavola, lei non si siede mai e dopo mangia i “vanzarotti.”.  L’immagine di questa mamma, declassata, era stata ben definita dalla descrizione del bambino. Una donna un po’ ai margini, che si sacrifica al punto da non sedersi neanche a tavola e da mangiare gli avanzi del resto della famiglia, mentre “si aggira”, col suo metro e sessanta, nella vita dei suoi cari.

Succede talvolta che le bambine vengano considerate dall’alto in basso, soprattutto se sono timide e introverse, che vengano escluse da certi giochi, coinvolte in incarichi “femminili”, prese in giro per il carattere, per l’aspetto fisico, per la famiglia. O, semplicemente, perché sono bambine. Un latente maschilismo, retaggio di modelli familiari e sociali che purtroppo fanno presa su certi maschietti più agguerriti, serpeggia anche tra i banchi della scuola elementare e va contrastato subito e con forza. Perché certi atteggiamenti, se prendono piede, sono poi difficili da estirpare; si creano modalità di interazione basate sulla forza, su una presunta superiorità di genere, sul ricatto, sulla prepotenza e, di rimando, generano accettazione passiva e silenzio. Molte bambine tendono ad assecondare, pur nella sofferenza, comportamenti prevaricatori.

Anche tra i maschi però ci sono persecutori e perseguitati. Gli insegnanti hanno grandi responsabilità riguardo al clima che si crea in una classe e non devono chiudere gli occhi e far finta di niente, magari per pigrizia o per quieto vivere. Stigmatizzare diventa necessario, educativo; non si devono far passare nel silenzio atteggiamenti aggressivi, fisici o verbali che siano. Dal momento però che sempre di bambini si parla, è importante andare al recupero, non emarginare, far ragionare e riflettere prima di incorrere in sanzioni o punizioni. Tornarci su mille volte senza paura di perdere tempo. E’ importante insegnare a chiedere scusa e a mettersi in discussione, nella consapevolezza che tutti possiamo sbagliare.

A questo servono anche le assemblee di classe, nelle quali si discute insieme, si confrontano le diverse opinioni, si ragiona sugli accadimenti della classe, si stipulano accordi e si assumono decisioni. In quarta e in quinta sono gli stessi alunni che verbalizzano, danno la parola e seguono l'andamento del dibattito, sotto l'occhio vigile dell'insegnante. Sono pratiche democratiche con le quali si prende dimestichezza strada facendo, ed è bello quando sono gli stessi alunni a richiederle, perché ne comprendono l'utilità e l'efficacia. In fondo a nessuno piace star male, vivere situazioni conflittuali e soffrire. Va detto che non sempre è possibile risolvere tutto con modalità pubbliche e comunitarie.

Ci sono bambini che hanno bisogno del piccolo gruppo per esprimersi, del singolo insegnante con cui confidarsi e di momenti dedicati. Il tempo va trovato, perché le necessità dei bambini non sono solo materiali o strettamente scolastiche, e non vanno eluse e messe in secondo piano rispetto agli apprendimenti o al programma “che deve andare avanti”.

Un giorno, in occasione della Giornata della Pace, piantammo a scuola un albero di mandorlo fornitoci dal Comune. Crebbe velocemente e a primavera, in piena fioritura, ammiravamo dalle finestre il delicato intreccio di trine della sua chioma bianca. Ricordo che un bambino della mia classe propose allora di costruirci intorno una panchina circolare sulla quale sedersi e discutere insieme dei nostri contrasti.

Qualcun’ altro consigliò di allargarne l’utilizzo alle maestre e ai maestri arrabbiati e a qualche genitore. Mi sembrò davvero un’ottima idea, ogni scuola dovrebbe dotarsi di una albero e di una panchina per far pace.

Ma, per tornare ai conflitti, chi subisce, maschio o femmina che sia, deve sentirsi sempre sostenuto e protetto, a scuola come in famiglia.

Quando si avvicinava l’”Otto Marzo”, dopo aver spiegato a tutti l’origine di questa festa, ho sempre sollecitato i maschietti delle mie classi a preparare qualche piccola sorpresa: un regalino, un pensiero affettuoso, una lettera per le loro mamme, per le sorelline o per le compagne di classe. Sono attenzioni che, se interiorizzate, entrano a far parte delle modalità relazionali, del corretto confronto e scambio tra i generi non solo a scuola, ma anche in famiglia e, più tardi, nel mondo del lavoro, nei rapporti di coppia e nella società. Nel quotidiano e non solo nei giorni speciali. Le “buone pratiche”, come le buone maniere, sono comportamenti che devono avere solide radici, che partono da lontano, e l’infanzia, è risaputo, è terreno fertile da seminare: i bambini sono duttili, ricettivi, ancora disposti al cambiamento.

Gli stereotipi sono modelli fissi, rigidi, che i bambini hanno bisogno di costruirsi per categorizzare la realtà a seconda delle differenze o delle somiglianze. Ma spesso sono  stereotipi negativi e diventano ostacoli difficili da rimuovere. Allora bisogna  decostruirli e aiutare i bambini e i ragazzi a trovare chiavi differenti per leggere la realtà di genere. Per non maturare immagini di essa distorte e omologate.

La stessa Unione Europea, già nel marzo 2006 ha emanato “la tabella di marcia” per l'eliminazione degli stereotipi nell'istruzione, nella formazione, nella cultura. E gli studi psico-pedagogici e sociologici ci dicono che i tratti del carattere maschile e femminile non derivano tanto da predisposizioni organiche e biologiche, quanto dai condizionamenti culturali ricevuti che portano a riprodurre e tramandare le differenze dei ruoli. La realizzazione della parità sostanziale tra uomo e donna è un processo da costruire, prima di tutto in famiglia e poi a scuola, necessita di insegnanti formati e di buone pratiche diffuse e non estemporanee.

Per iniziare un importante processo di cambiamento di cui il nostro paese, dove il femminicidio, lo stalking, la violenza sulle donne e la disparità delle condizioni sul lavoro e nella società, la fanno ancora da padrone.

Lucia Coppola

 

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